Il libro di Francesco Baucia sembra un saggio, invece è una forma molto raffinata di narrativa con tratti autobiografici. Autofiction? Qui è tutta un’altra storia (anzi, storie): il narratore, che inizialmente si mimetizza in una scrittura apparentemente impersonale, parla di sé attraverso i suoi riferimenti culturali, che vanno da Tondelli a Mishima, dalla letteratura al cinema, dall’Occidente all’Oriente – a questa sintesi mira il titolo (ma occhio ai segnali di fiction sparsi qua e là). La struttura segue una logica cinematografica, con un montaggio non lineare che alterna i diversi piani narrativi, integrandoli con riferimenti culturali e riflessioni filosofiche. Colta, raffinata, “saggia”, l’opera alterna descrizioni evocative e introspezione a un linguaggio analitico (pensate a Labatut) con una prosa che sa gestire passaggi di tensione narrativa intensa (vedi Leonard), e altri più meditativi e contemplativi. L’effetto è dinamico: la nostra attenzione vigila per cogliere i legami tra le storie. Leonard e Kengiro sono famosi, anche se Baucia trasforma le loro biografie in un romanzo, illuminando con la sua sensibilità i coni d’ombra. Invece il misterioso autobiografo è una lenta scoperta: spinto da una fascinazione per la cultura giapponese, il nostro si iscrive a un dojo, immaginando di avvicinarsi a un sapere profondo e mistico. Ma la realtà è più complessa: il dojo non è un tempio zen, i compagni sono persone normali con vite ordinarie, e la disciplina non offre risposte facili. Ma indica una strada. Esplorando il senso della trasformazione attraverso fuga, disciplina e confronto tra culture, Baucia narra di un Occidente che cerca il suo Oriente e un Oriente che deve ridefinire sé stesso, spesso attraverso l’arte. 物の哀れ (mono no aware), semplice. L’autore sarà ospite in libreria il 17 maggio, se avete domande è il momento giusto per farle! Paola
Già il prologo ci investe con una profondità inusuale e una poesia che esalta la parola. Come il percorso del narratore, che cerca di ricomporre le fratture interiori attraverso la pratica del kendo e l’esplorazione del pensiero orientale, anche il lettore deve impegnarsi un po’. La vita del narratore si intreccia con altre due: Leonard Schrader, giovane americano che, per sfuggire al Vietnam, si trasferisce in Giappone e diventa sceneggiatore di culto, insieme al fratello Paul; e Kengiro Azuma, kamikaze giapponese mancato che, dopo la guerra, trova nella scultura la sua via, che lo porta in Italia.