La musica del futuro - Katerina Poladjan

La vicenda, insieme storica e onirica, si svolge in un sol giorno, l’11 marzo 1985, e in un unico luogo, una kommunalka sovraffollata. La ventenne Jana (che suona in una band clandestina) torna dalla fabbrica dopo aver sentito alla radio la marcia funebre di Chopin, il segnale che annuncia la morte del Soviet Supremo (lo Stato è un’entità diffusa, invisibile, seppur ineluttabile, e muta).
Il cambiamento è nell’aria (Gorbaciov!), ma i nostri personaggi sono in una piega del tempo: se il controllore di treni notturni Ippolit Ivanovič che corteggia la nonna di Janka come un personaggio di Čechov (del resto, quest’opera è un po’ anche una pièce teatrale) ci racconta di una Russia sentimentale, l’ingegnere Matvej Aleksandrovič, che litiga con Janka, sua madre Maria e sua nonna per le misure non regolamentari del tavolo della cucina, è un burocrate non diverso dal mammut imbalsamato del Museo di etnologia e scienze naturali deserto dove lavora Maria.
E la musica? E il futuro? Meravigliosamente musicali sono l’organizzazione della storia, coi suoi cambi di ritmo, i monologhi interiori, le allusioni metaforiche, e ancor più i dialoghi: si parla il russo letterario della tradizione (declamato da un compagno professore, figura quasi eroica), che stona comicamente con l’alloggio malridotto ma è pur sempre una difesa della propria autonomia. Però è Jana che inventa una lingua diversa di protesta e riesce a spalancare (letteralmente) una porta sul futuro, con un colpo di scena che vi farà sobbalzare.
Una sinfonia crepuscolare per gli ultimi giorni dell’Unione Sovietica.

P.